Con l’ordinanza n. 17586 del 26.06.2024, la Cassazione afferma che l’interesse ad agire in una causa per demansionamento sussiste anche dopo la fine del rapporto di lavoro e, perfino, nel momento in cui la reintegra del dipendente sia divenuta impossibile.
Il fatto affrontato
Il dipendente, al termine del rapporto di lavoro, propone ricorso giudiziale d’urgenza al fine di ottenere l’accertamento dell’illegittimità del mutamento di mansioni, in violazione dell’art. 2103 c.c., e l’ordine alla società di reintegrarlo nelle mansioni di originaria adibizione.
Nelle more del giudizio, il ricorrente decede e l’unico erede dello stesso si costituisce continuando il procedimento.
La Corte d’Appello rigetta l’iniziale domanda, ritenendo venuto meno l’interessa ad agire anche a fronte dell’assenza di una domanda di risarcimento per equivalente.
L’ordinanza
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente ed in via generale, che qualora l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e la conseguente condanna del convenuto ad un facere, la circostanza che nel corso del giudizio sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione non determina la cessazione della materia del contendere, perché non si estingue l’interesse dell’attore all’accertamento del fatto controverso.
Applicando questo principio alle ipotesi di dequalificazione professionale, continua la sentenza, se ne ricava che, ove il dipendente richieda l’accertamento della illegittimità del mutamento delle mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, l’interesse ad ottenere la pronunzia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro.
Secondo i Giudici di legittimità, infatti, quest’ultimo evento incide soltanto sull’eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, ma non sul diritto all’accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto ed al conseguente riconoscimento di poste di tipo risarcitorio.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dall’erede del lavoratore e cassa con rinvio l’impugnata pronuncia.