Etichette per l’export, la Corte Ue impone l’uso della lingua locale

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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito, “CGUE”), con la sentenza Parfümerie Akzente del 19 settembre 2024 (C-88/23), ha affermato il principio secondo cui il Paese UE “esportatore” di prodotti cosmetici deve rispettare le disposizioni UE in materia di etichettatura, traducendo le etichette nella lingua del paese di destinazione.

Gli obblighi in materia di etichettatura applicabili ai prodotti promossi e venduti online non possono infatti essere considerati come rientranti nel c.d. “ambito regolamentato” previsto dalla Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, restando invece applicabili solo le prescrizioni di cui al Regolamento (CE) 1223/2009 sui prodotti cosmetici.

La controversia, promossa dinanzi al Tribunale della proprietà intellettuale e del commercio svedese, è sorta tra una società tedesca che, attraverso il proprio sito web, promuove e vende, inter alia, prodotti cosmetici diretti al mercato svedese e una società svedese di servizi per aziende che importano, elaborano e commercializzo prodotti cosmetici e prodotti per l’igiene. Nello specifico, la società svedese lamentava che i prodotti venduti online dalla società tedesca fossero privi di etichettatura in lingua svedese e segnatamente delle precauzioni particolari per l’impiego prescritte dall’articolo 19, paragrafo 1, lettera d) e dall’allegato III del Regolamento (CE) 1223/2009 sui prodotti cosmetici.

La società tedesca, pur riconoscendo di aver effettuato la promozione e la vendita in Svezia di prodotti privi di etichettatura in lingua svedese, sosteneva che la Direttiva 2000/31/CE non ammette che il prestatore di un servizio della società dell’informazione sia soggetto a norme più severe di quelle dello Stato di stabilimento della società. L’articolo 3, paragrafo 2 di tale Direttiva precisa, infatti, che gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato dalla direttiva stessa, limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, tra cui le vendite online, provenienti da un altro Stato membro.

In altre parole, secondo la società tedesca, la normativa europea summenzionata avrebbe impedito l’applicazione di requisiti più stringenti previsti dalla normativa svedese rispetto a quelli vigenti in Germania in materia di etichettatura.

Il Tribunale svedese classificava la pratica di vendita posta in essere dalla società tedesca come pratica sleale imponendone il divieto. La società tedesca, dunque, proponeva appello dinanzi alla Corte d’Appello di Stoccolma, la quale sospendeva il procedimento per sottoporre alla CGUE alcune questioni pregiudiziali. In particolare, si trattava di comprendere se nella nozione di “motivi che rientrano nell’ambito regolamentato”, che impedirebbero alla Svezia di applicare alla società tedesca norme più rigide rispetto a quelle vigenti in Germania, rientrasse anche l’etichettatura dei prodotti.

In merito, i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che la nozione di “ambito regolamentato” non include i requisiti concernenti l’etichettatura di prodotti promossi e venduti sul sito internet e che sono imposti dallo Stato membro sul territorio del quale si trovano i consumatori destinatari delle misure di commercializzazione online. Di conseguenza, uno Stato membro ben potrebbe imporre ad una società proveniente da un altro Stato membro requisiti più stringenti in termini di etichettatura rispetto a quelli vigenti nel paese di stabilimento della società stessa. Una tale interpretazione, peraltro, garantisce la tutela dei consumatori nel senso che ciascun paese è in grado di vigilare direttamente sul rispetto, nel proprio territorio, delle norme che disciplinano l’etichettatura dei prodotti.

Come già affermato dalla giurisprudenza della CGUE, la protezione della salute umana non potrebbe essere pienamente garantita se i consumatori non fossero in grado di cogliere appieno i dettagli relativi alla funzione del prodotto cosmetico e le precauzioni speciali da osservare quando lo si utilizza. Di conseguenza, le informazioni che i produttori o i distributori dei prodotti cosmetici sono obbligati a riportare sull’imballaggio e sul recipiente del cosmetico, secondo quanto previsto dal Regolamento (CE)1223/2009, sarebbero prive di utilità pratica se formulate in una lingua non comprensibile ai destinatari.

 

 

Fonti

  • Corte di Giustizia UE, sentenza 19 settembre 2024, C-88/23
  • Regolamento (CE) 1223/2009
  • Direttiva 2000/31/CE

 

 

 

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