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Somministrazione a tempo indeterminato: le questioni al vaglio della Corte di Giustizia UE

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1. Le ordinanze di rimessione alla CGUE del Tribunale di Reggione Emilia del 7.11.2024 e del Tribunale di Milano del 14.01.2025 – Con due recenti ordinanze, il Tribunale di Reggio Emilia e il Tribunale di Milano hanno rimesso al giudizio della Corte di Giustizia Europea nuove questioni afferenti alla conformità della normativa italiana, rispetto alla Direttiva europea n. 2008/104, in tema di somministrazione a tempo indeterminato. 

Lavoro somministrato, durata delle missioni nella giurisprudenza europea e italiana.

Il Tribunale di Reggio Emilia, in particolare, ha chiesto alla Corte di Giustizia di valutare se l’articolo 5, punto 5, della Direttiva 104/2008 osti all’utilizzo dell’istituto della somministrazione a tempo indeterminato nella parte in cui:

– non prevede limiti alla missione del medesimo lavoratore presso l’impresa utilizzatrice,

– non subordina la legittimità del ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato ad indicazione di ragioni giustificative,

– non prevede il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva quale condizione di legittimità del ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato.

Il Tribunale di Milano, invece, pone la questione sotto un profilo parzialmente diverso chiedendo alla Corte di Giustizia di verificare se la normativa nazionale si ponga in contrasto con il citato articolo 5 della Direttiva e con l’articolo 1 paragrafo 1 della medesima, accertando, in particolare, se entri in contrasto con la disciplina comunitaria il fatto che la normativa interna consenta dell’agenzia di somministrazione di assumere a tempo indeterminato un lavoratore ed di inviarlo in missione sempre a tempo indeterminato presso lo stesso utilizzatore senza individuare un obbligo di motivazione nel caso di cessazione della missione.

2. Le ragioni addotte a sostegno delle ordinanza di rimessione – Preliminarmente, occorre evidenziare come entrambi i giudici sollevino dubbi in ordine all’applicabilità o meno della Direttiva comunitaria nei confronti della fattispecie della somministrazione a tempo indeterminato.

Lo stesso Tribunale di Reggio Emilia che rileva come l’articolo 1 della Direttiva, che ne definisce l’ambito di applicazione, circoscriva i confini della disciplina comunitaria a quei lavoratori che sono assegnati a “imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente sotto il controllo e la direzione delle stesse”.

Nella stessa chiave, il medesimo Tribunale emiliano richiama anche l’articolo 3, comma 1 della Direttiva che, individuando le definizioni di “agenzia interinale”“lavoratore tramite agenzia interinale” o “impresa utilizzatrice”, fa costantemente riferimento all’elemento della temporaneità implicitamente differenziandolo dalle ipotesi in cui la somministrazione è a tempo indeterminato.

Entrambi i Tribunali, tuttavia, sono orientati nel sostenere l’interpretazione secondo cui l’ambito di applicazione della Direttiva prescinda dalla durata della somministrazione e trovi applicazione anche alla somministrazione a tempo indeterminato sul presupposto che l’istituto in questione viene comunque espressamente richiamato dal testo normativo comunitario (art. 5 punto 2).

Evidente, tuttavia, che il vaglio della Corte di giustizia su tale determinante profilo, non potrà non tener presente, oltre che i citati riferimenti normativi testuali, la peculiarità della somministrazione a tempo indeterminato che, lungi da rappresentare un ostacolo permanente alla stabilizzazione del lavoratore presso l’utilizzatore, è ragionevolmente predisposta a consentire l’invio in missione del lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato presso lo stesso utilizzatore senza che tale soluzione costituisca per il lavoratore somministrato una forma di occupazione meno garantita e stabile.

Ciò a maggior ragione se considera come, anche a seguito del recente rinnovo del CCNL applicato ai lavoratori somministrati, sono stati rinforzati i già rilevanti strumenti di tutela e garanzia per tale categoria di dipendenti. Ma sul punto si ritornerà nel prosieguo.

L’ordinanza del Tribunale di Milano, in ogni caso, manifesta espressamente il proprio obiettivo di porre in discussione la compatibilità della Direttiva comunitaria con “l’istituto della missione a tempo indeterminato del lavoratore somministrato presso lo stesso utilizzatore” anche con altri argomenti.

In tale chiave, richiama giurisprudenza della Suprema Corte (SS.UU. n. 22910/2006), peraltro non strettamente attinente al caso di specie in quanto relativa al diverso tema dell’appalto, per evidenziare come la somministrazione debba, secondo la sua ricostruzione, essere comunque intesa come un’eccezione al principio generale, per cui la forma comune di rapporto di lavoro è quella del rapporto di lavoro alle dirette dipendenze dell’utilizzatore.

Inoltre, sempre secondo il Tribunale di Milano, obiettivo della direttiva comunitaria sarebbe “conciliare le esigenze di flessibilizzazione del mercato del lavoro con quelle di tutela dei lavoratori non solo per quanto riguarda le condizioni di impiego di quelli assunti da un’agenzia ma anche in termini di garanzia del valore della stabilità, ossia di accesso ad un impiego diretto e permanente con l’impresa che ne utilizzi le prestazioni”.

Nella sostanza il Tribunale sembra voler rappresentare la somministrazione anche a tempo indeterminato come uno strumento eccezionale che, per definizione, non può garantire al lavoratore un’occupazione stabile al pari di un rapporto alle dirette dipendenze dell’utilizzatore.

In questo senso, secondo il giudice meneghino anche il principio di parità di  trattamento previsto dall’articolo 5 della Direttiva dovrebbe essere inteso non solo come strumento della ricerca di garanzia di condizioni di lavoro adeguato per lavoratori somministrati al pari dei lavoratori direttamente assunti dall’utilizzatore, ma anche come in una chiave più ampia volta ad assicurare al lavoratore somministrato le stesse tutele garantite al lavoratore assunto a tempo indeterminato dall’utilizzatore, così garantendogli non solo che la missione presso lo stesso utilizzatore abbia comunque una durata non permanente ma, altresì, assicurandogli nell’ipotesi di cessazione della missione, le tutele tipiche in materia di licenziamento, previste in favore del dipendente direttamente dipendente dell’utilizzatore.

E’ proprio in questa chiave che lo stesso Tribunale meneghino, ma anche il Tribunale di Reggio Emilia, arriva a sostenere che il requisito della temporaneità previsto dalla Direttiva debba essere necessariamente esteso anche alla somministrazione a tempo indeterminato.

Affermazione questa che dovrà essere attentamente vagliata dalla Corte di giustizia tenuto conto che l’articolo 5 al punto 5, della Direttiva, imponendo agli Stati membri di disporre misure per impedire il ricorso abusivo a “missioni successive” con lo scopo di eludere la Direttiva, sembra piuttosto rispondere al diverso obiettivo di combattere la precarizzazione intesa come reiterazione di missioni e non  riguardi l’ipotesi in cui ci si trovi innanzi ad una missione unica a tempo indeterminato tipica della fattispecie dello staff leasing.

L’obiettivo testuale della norma non sembrerebbe, dunque, come sostiene il Tribunale di Reggio Emilia, voler circoscrivere la durata massima di un rapporto a tempo indeterminato con l’agenzia.

Né dovrebbero porsi dubbi in merito al fatto che la normativa italiana non preveda “limiti alla missione del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice”.

A quanto esposto si aggiunga che il requisito della temporaneità della missione, valorizzato da entrambe le ordinanze di rimessione, sarebbe, sempre ad avviso delle medesime, in ultima istanza orientato ad incentivare il più possibile l’assunzione diretta del lavoratore somministrato da parte della società utilizzatrici così evitando il rischio di avallare quella che viene definita dal Tribunale di Milano una sorta di “disciplina discriminatoria dei lavoratori in missione a tempo determinato rispetto ai lavoratori assunti direttamente dall’utilizzatore”.

A tal proposito il Tribunale di Milano evidenzia come il rapporto dei lavoratori in missione presso l’utilizzatore possa cessare in qualsiasi momento senza alcun obbligo di motivazione in questo senso differenziandosi in maniera meno garantista dal rapporto alle dirette dipendenze dell’utilizzatore. Per il predetto Giudicante, peraltro, a nulla rileverebbero gli strumenti posti a tutela del lavoratore a tempo indeterminato che cessi la sua missione alle dipendenze dell’utilizzatore.

In realtà, non vi è dubbio che i casi di interruzione della prestazione del lavoratore somministrato sono frequenti non solo nella somministrazione a tempo indeterminato ma anche nel rapporto di lavoro alle dirette dipendenze dell’utilizzatore (si pensi ad esempio ai casi in cui fattori economici e produttivi, l’evoluzione delle tecnologie e le continue modifiche che coinvolgono l’assetto economico nazionale rendono quasi inevitabile, anche in un normale rapporto di lavoro, la cessazione/sospensione della prestazione con conseguenziale accesso a trattamenti di sostegno del reddito).

Gli stessi periodi di “non lavoro”, peraltro, per il personale somministrato a tempo indeterminato risultano funzionali al reperimento di una futura occupazione stabile alternativa alle dirette dipendenze datore di lavoro non solo perché, nelle dinamiche occupazionali, l’utilizzatore vede sempre con maggior favore la prospettiva di poter assumere la risorsa ex somministrata che ha già conseguito una certa esperienza presso la sua azienda, ma anche perché, nei predetti periodi di sospensione, viene incentivato dalla stessa agenzia di somministrazione l’avvio di percorsi formativi funzionali alla ricollocazione delle risorse soprattutto se già assunte a tempo indeterminato.

E’ proprio la Direttiva che in questo senso sollecita gli Stati membri a:

a) migliorare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale alle opportunità di formazione e alle infrastrutture d’accoglienza dell’infanzia nelle agenzie di lavoro interinale, anche nei periodi che intercorrono tra una missione e l’altra, per favorirne l’avanzamento della carriera e l’occupabilità;

b) migliorare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale alle opportunità di formazione di cui godono i lavoratori delle imprese utilizzatrici (art. 6 punto 5 Direttiva).

Diversamente il lavoratore alle dirette dipendenze dell’utilizzatore, cessato il proprio rapporto, non si vede certamente garantite le medesime tutele e prospettive di rioccupazione, anche con altre missioni a tempo indeterminato presso altri utilizzatori, che l’agenzia di somministrazione mette a disposizione dei propri dipendenti.

A tal proposito si deve tener presente, inoltre, che il nostro ordinamento, nell’ambito della somministrazione, dedica sempre maggiore attenzione alla formazione ed allo sviluppo delle competenze professionali nell’ottica di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro che richiedono un adeguamento delle competenze dei candidati a missione e dei lavoratori assunti sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.

In questo senso decisivo è il ruolo assunto dalla contrattazione collettiva cui la stessa Direttiva effettua, come già esposto, espresso rinvio, incentivando il dialogo tra le parti sociali proprio non solo per favorire l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale alle opportunità di formazione ma soprattutto per agevolarne la futura occupazione alle dipendenze dell’utilizzatore.

Alla luce delle numerose questioni sollevate dai due Tribunali e dei numerosi dubbi interpretativi conseguenti, non resterà che attendere la pronuncia della Corte di giustizia al riguardo.

 

Fonte: Lavorosì

 

  • WST_ Andrea Consolini

    Andrea è Senior Counsel del dipartimento di Diritto del Lavoro. La sua attività è mirata a fornire supporto alle imprese nella gestione di tutti gli aspetti relativi ai rapporti tra datore di lavoro e lavoratore.

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