Le recenti sentenze della Corte Costituzionale sul payback: rischi, conseguenze e strategie per le aziende

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La Corte Costituzionale, con le sentenze 139 e 140 del 22 luglio scorso, ha segnato un’importante pagina dell’articolata vicenda relativa al payback dei dispositivi medici.

Tale meccanismo è stato introdotto in Italia dall’art. 9-ter del Decreto Legge n. 78 del 2015, con l’obiettivo di contenere la spesa pubblica nel settore sanitario, trasferendo parte del rischio economico sulle imprese fornitrici di dispositivi medici. In particolare, quando la spesa sanitaria supera i tetti prefissati, le aziende sono obbligate a rimborsare una quota proporzionale della cifra in eccesso, appunto il cosiddetto “payback”. Tale norma è rimasta inattuata per molti anni sino all’introduzione, nel 2022, del nuovo comma 9-bis, con il quale sono state dettate le modalità operative per il recupero delle somme relative alle annualità 2015-2018, previsione che ha effettivamente avuto seguito, con l’invio alle aziende delle richieste di pagamento da parte delle regioni.

Successivamente, anche e soprattutto nel tentativo di “scoraggiare” le numerosissime aziende che erano insorte (con ricorsi al TAR) contro questo meccanismo, l’art. 8 del Decreto legge n. 34 del 2023 ha istituito un fondo statale per le regioni che avevano superato il tetto di spesa, prevedendo altresì un consistente sconto (52%) a favore delle imprese che avessero rinunciato al ricorso.

Tanto precisato, possono svolgersi le seguenti sintetiche considerazioni.

Con la prima delle due pronunce sopra rammentate, la sentenza n. 139, la Corte Costituzionale si è occupata dell’ultima delle disposizioni sopra indicate.

La Corte ha, infatti, dichiarato incostituzionale la disposizione nella parte in cui condizionava la riduzione del contributo alla rinuncia da parte delle imprese a contestare in giudizio i provvedimenti di pagamento (trattasi d’altra parte di una palese compressione del fondamentale diritto costituzionale di difesa).

La conseguenza di tale pronuncia è dunque da accogliersi positivamente per le aziende: lo “sconto” del 52%, che il Legislatore aveva introdotto a causa dei numerosi ricorsi al TAR, si estende a tutti: tale sconto, pertanto, si applicherà a tutte le imprese e non soltanto a quelle che avevano rinunciato al ricorso o lo avevano abbandonato.

Con la sentenza n. 140, invece, la Corte ha ritenuto non fondate le questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 9-ter del Decreto legge n. 78 del 2015, norma fondante il meccanismo del payback.

Secondo la Corte, infatti, il meccanismo in esame non è irragionevole, svolgendo anche una funzione solidaristica.

Sempre con la sentenza n. 140, la Corte ha precisato che la norma non è da considerarsi retroattiva in quanto il comma 9-bis dell’art. 9-ter, pur introdotto nel 2022, avrebbe solo stabilito l’operatività dell’obbligo di ripiano, non andando a incidere sulle ulteriori questioni, già definite nel 2015.

La sentenza in questo modo non ha tenuto conto delle peculiarità settoriali e della reale incidenza delle disposizioni normative sulle dinamiche finanziarie e operative delle imprese. È evidente che il meccanismo del payback, soprattutto nella sua applicazione retroattiva, comporta significativi rischi per la stabilità finanziaria delle aziende, che si vedono gravate da oneri difficilmente prevedibili. Infatti, il rimborso delle somme dovute a titolo di payback potrebbe comportare, soprattutto per le imprese di piccole e medie dimensioni, una significativa erosione delle risorse finanziarie, mettendo a rischio la continuità aziendale.

Inoltre, occorre ricordare che, seppure i giudizi che hanno condotto al rinvio alla Consulta riguardano soltanto le annualità 2015-2018, la posta in gioco è molto più alta: infatti, la conferma del payback al momento andrà a incidere anche su tutte le annualità successive al 2018. Pertanto, l’incertezza legata alla possibilità di ulteriori richieste di rimborso in futuro rende per le aziende difficoltosa la pianificazione strategica e l’attrazione di investimenti, anche stranieri.

Dal punto di vista giuridico, la sentenza presenta diverse criticità. In primo luogo, si può sollevare il dubbio che il payback, così come strutturato, violi il principio di proporzionalità, imponendo alle aziende un sacrificio eccessivo rispetto agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Inoltre, la retroattività del meccanismo contrasta con il principio di tutela dell’affidamento legittimo, fondamentale in un ordinamento giuridico che si basa sulla prevedibilità delle regole e sulla stabilità delle condizioni operative. Tutti elementi che la Corte ha scelto di non valorizzare, puntando tutto sulla necessità di garantire la tenuta economica del sistema sanitario pubblico e, in definitiva, del sistema-Paese nel suo complesso.

Le indicate pronunce hanno inevitabilmente e comprensibilmente generato grande insoddisfazione tra le aziende di settore e le principali associazioni del comparto che si sono immediatamente attivate con diverse iniziative, nell’auspicio di un intervento del Governo che possa risolvere la complessa situazione.

In attesa di tale auspicato intervento, si precisa che alcune accortezze strategiche sono ancora possibili per le aziende, al fine di mitigare gli effetti della decisione.

Anzitutto deve precisarsi che nulla è ancora dovuto a titolo di payback da parte delle imprese che hanno ottenuto la sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati e che, pertanto, è ancora possibile tenere sospesi i pagamenti degli importi richiesti a tale titolo.

Tale sospensione, infatti, continua ad essere valida e efficace, sino a che il TAR, al quale tornerà la questione dopo la sentenza della Consulta, non deciderà diversamente.

Deve poi considerarsi che, a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale, cadono sì i motivi di ricorso concernenti appunto la illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ma non gli ulteriori motivi di censura concernenti la illegittimità dei provvedimenti stessi.

In particolare, attraverso un rinvio della causa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, si potrà insistere sulla illegittimità del meccanismo del payback per violazione dei principi di diritto dell’Unione Europea, in particolare i principi di proporzionalità, prevedibilità e certezza del diritto, chiedendo un intervento che possa accertare l’illegittimità del sistema a livello sovranazionale.

Infine, deve tenersi presente che un’eventuale decisione negativa del TAR sarebbe comunque appellabile davanti al Consiglio di Stato, al quale pertanto spetterebbe l’ultima parola sulla vicenda.

Nel breve periodo, il TAR probabilmente fisserà l’udienza di trattazione dei “ricorsi pilota”, quelli che sono già stati oggetto della decisione della Corte costituzionale; da come si comporterà il Collegio nell’ambito di quei casi sarà possibile arguire l’atteggiamento dei Giudici a fronte della pronuncia della Consulta.

In conclusione, la sentenza della Corte Costituzionale rappresenta un duro colpo per le aziende del settore, costrette a fronteggiare una normativa che rischia di compromettere seriamente la loro stabilità finanziaria e operativa. Tuttavia, anche attraverso un’attenta strategia processuale, potrebbe ancora essere possibile contenere gli effetti negativi della decisione e promuovere un’evoluzione normativa più equilibrata e sostenibile.

 

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