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Il caso GLS e il fenomeno del greenwashing

Il caso GLS

Con provvedimento del 21 gennaio 2025, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha sanzionato per 8 milioni di euro il Gruppo GLS (“GLS”) – attivo nel settore dei servizi di logistica – per una pratica commerciale ingannevole relativa ad un progetto di sostenibilità ambientale promosso e attuato dalla stessa, denominato “Climate Protect”.

I profili di contestazione sollevati dall’AGCM sono una pluralità, tra cui: (i) GLS avrebbe lasciato intendere che l’iniziativa fosse finalizzata alla riduzione di emissioni di CO2, mentre quantomeno una parte del progetto riguardava attività di sola compensazione; (ii) l’impresa ha affermato che avrebbe sopportato parte dei costi connessi all’iniziativa, mentre in realtà l’intero progetto sarebbe stato finanziato per mezzo di appositi contributi richiesti ai clienti; (iii) i contributi così raccolti sarebbero stati solo in parte destinati all’iniziativa, in quanto eccedenti le spese complessive sostenute per il progetto stesso; (iv) le quantità di emissioni di CO2 ridotte e compensate – indicate nelle certificazioni rilasciate da GLS ai clienti – sarebbero state calcolate con una metodologia non idonea.

Il contesto

La decisione in oggetto riguarda un fenomeno denominato greenwashing, consistente nell’uso, da parte delle imprese, di asserzioni ambientali false e/o ingannevoli nell’ambito delle proprie comunicazioni.

Sotto il profilo della tutela del consumatore, il Parlamento europeo nel 2024 ha adottato la direttiva (UE) 2024/825, volta a introdurre in maniera espressa le condotte di greenwashing tra le pratiche commerciali scorrette. È attualmente in discussione una ulteriore direttiva (UE) sull’attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali esplicite, la quale prevede che taluni claim ambientali debbano essere vagliati da appositi certificatori prima di poter essere impiegati sul mercato. Le autorità di tutela dei consumatori hanno avviato vari procedimenti in relazione a illeciti di questo tipo.

Più in generale, si ricorda come qualsivoglia informazione fornita dall’impresa e che possa giungere al consumatore – anche inserita in codici di condotta, report di sostenibilità o altri documenti pubblicati sui siti web – possa qualificarsi come una comunicazione commerciale. Ove tale comunicazione presenti delle affermazioni non corrette o comunque ingannevoli (in quanto generiche, non verificabili, ecc.), il rischio è dunque che si possa configurare una pratica commerciale scorretta, soggetta ai poteri di indagine e sanzionatori delle autorità di tutela dei consumatori dei singoli stati.

Dal punto di vista antitrust, ove le iniziative di sostenibilità ambientale siano ideate e attuate congiuntamente da due o più imprese concorrenti, occorre verificare che esse rispettino altresì le regole di concorrenza. Le Linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale della Commissione europea, come riviste nel 2023, dedicano una sezione specifica agli accordi di sostenibilità e ai criteri per valutarne la legittimità.

Riflessioni sulle ulteriori possibili conseguenze delle dichiarazioni non veritiere in ambito di sostenibilità

Il greenwashing, volontario o accidentale, oltre a comportare rischi sotto il profilo concorrenziale e antitrust, può rivelare criticità strutturali nel modello di business (sostenibile) adottato dalle aziende, mettendone in discussione la reale efficacia e credibilità.

Le metodologie che le imprese adottano per la raccolta di informazioni di natura ESG (soprattutto con riferimento agli impatti ambientali ed emissivi) potrebbero essere state progettate in modo poco consapevole o volutamente approssimativo. Di conseguenza, anche le iniziative di mitigazione messe in atto per migliorare le proprie performance ambientali potrebbero risultare ingannevoli – anche in caso di buona fede – poiché errate dal punto di vista tecnico-scientifico già a partire dalle premesse della strategia messa in atto.

Nel caso GLS tra le pratiche non corrette contestate vi è quella di aver lasciato intendere che l’iniziativa “Climate Protect” fosse finalizzata alla riduzione delle emissioni del Gruppo che sono state invece sostituite, del tutto o in parte, da iniziative di compensazione delle emissioni stesse.

Le pratiche di riduzione e compensazione differiscono tra loro significativamente.

Le compensazioni infatti, differentemente dalle riduzioni, indicano una serie di azioni che hanno un limitato, se non nullo, impatto sulla transizione climatica. La compensazione, se usata come soluzione primaria, non riduce la CO2 generata dalle attività aziendali e può configurare greenwashing dal momento che non affronta le cause strutturali delle emissioni. Le linee guida della Science Based Targets Initiative (SBTi) suggeriscono infatti alle imprese di impegnarsi in prima istanza nella riduzione delle proprie emissioni operative e solo in seguito di ricorrere alle compensazioni come misura residuale.  

I modelli di gestione dei temi ESG devono pertanto essere fondati su metodologie tecniche idonee, in quanto, ove gli stessi fossero non appropriati, si potrebbero verificare dei gap nella gestione delle tematiche di sostenibilità con il concreto rischio di pubblicare contenuti non veritieri anche in altri ambiti, quali ad esempio il report di sostenibilità, con conseguenze rilevanti sia in termini sanzionatori, sia sotto il profilo della responsabilità civile e penale.

Possibili ipotesi di rischi e sanzioni:

Ammende per pratiche commerciali scorrette: le aziende che non rispettano le regole in materia di pratiche commerciali scorrette per quanto riguarda le tematiche ambientali rischiano multe significative, che possono arrivare (i) fino a 10 milioni di euro o (ii) fino al 4% del fatturato annuo nei particolari casi di infrazione diffusa o di infrazione diffusa avente dimensione unionale (in base al regolamento (UE) 2017/2394), nonché (iii) l’esclusione dagli appalti pubblici per un determinato periodo (in base al nuovo Codice Appalti – d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36). Sanzioni ESG: il mancato rispetto degli obblighi di legge e l’omessa divulgazione di informazioni ambientali o la non corretta rappresentazione delle informazioni possono comportare una sanzione amministrativa pecuniaria. Il D.Lgs. 125/2024, attuativo della Direttiva CSRD, prevede sanzioni amministrative fino a 125.000 euro per le società di revisione e fino a 50.000 euro per i revisori della sostenibilità. Violazioni generali possono costare fino a 150.000 euro, mentre per violazioni più gravi si possono raggiungere i 2.500.000 euro.

Altre sanzioni amministrative: le violazioni possono anche comportare la pubblicazione di una dichiarazione pubblica di avvenuta violazione e di un ordine di eliminazione delle infrazioni.

Responsabilità degli amministratori: gli amministratori sono responsabili della corretta rappresentazione e concreta attuazione delle pratiche ESG e devono agire con professionalità e diligenza.

La falsa rappresentazione delle politiche ESG potrebbe soggiacere anche a sanzioni penali:

Frode in commercio (515 c.p.): che sanziona la messa in commercio di prodotti con informazioni ingannevoli, distorte o incomplete o comunque di prodotti diversi da quelli presentati, con conseguenze ex d.lgs. 231/2001 anche in capo alle imprese.

Truffa (ex 640 c.p.): qualora siano utilizzati dati non veri, sia nella conclusione di contratti, che a fondamento di richieste di finanziamenti o erogazioni.

– False comunicazioni sociali (art. 2621 e 2622 c.c.): tema, tuttavia, più complesso e ancora oggetto di discussione.

Impatto reputazionale

Infine, la comunicazione ingannevole che sia qualificata come pratica commerciale scorretta o come riflesso di un sistema di business sostenibile non idoneo può comportare a carico dell’azienda un grave danno reputazionale e la conseguente perdita di fiducia dei consumatori e degli investitori, con possibile calo delle vendite e valore del marchio.

Takeaway points

  • Le iniziative di sostenibilità ambientale costituiscono un fattore di sempre maggiore rilevanza per le imprese. Una volta ideate, occorre tuttavia porre la dovuta attenzione a come vengono comunicate, al fine di evitare che si configuri una pratica commerciale scorretta.
  • Qualsivoglia informazione diffusa dall’impresa e che possa giungere al consumatore può essere qualificata come una comunicazione commerciale e deve perciò rispondere alle regole in materia di pratiche commerciali scorrette. Dunque, non solo comunicazioni pubblicitarie in senso stretto, ma anche qualsivoglia informazione contenuta sul sito web dell’impresa, anche in documenti come politiche, report di sostenibilità, ecc.
  • Se il progetto implica la collaborazione tra due o più concorrenti, un vaglio anche con riferimento al diritto antitrust risulta essenziale.
  • Il complesso di misure organizzative, gestionali, di controllo e verifica che incarnano il sistema di gestione delle informazioni ESG non può essere improvvisato, ma va progettato in maniera proporzionale alla dimensione, complessità e necessità strategiche di ogni singola realtà per evitare di produrre informazioni imprecise, inesatte o false.
  • La produzione di informazioni ESG nei report di sostenibilità deve soddisfare i criteri di correttezza, accuratezza, trasparenza e verificabilità che il revisore deve poter attestare a partire dal processo di costruzione delle informazioni stesse.

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