La direttiva europea due diligence: doveri e responsabilità delle imprese

Obbiettivi e caratteri generali della direttiva – L’ iter di approvazione della direttiva cd due diligence, 2024/1760 del 14 giugno 2024, è stato lungo e contrastato perché ha implicazioni di grande complessità e difficoltà sulla gestione aziendale, che hanno richiesto non pochi adattamenti e semplificazioni rispetto alle versioni originali.

Ora che la direttiva è pubblicata in gazzetta ufficiale merita di essere approfondita in tutti i suoi aspetti per chiarirne le implicazioni anche in vista del recepimento nel nostro ordinamento.

Va detto subito, per evitare fraintendimenti, che tale regolazione non impone alle aziende obblighi di raggiungere risultati specifici in materia di cambiamento ambientale o di adottare misure puntuali di carattere sociale. Come indicano i considerando posti in premessa al testo, gli obblighi principali sono non di risultato ma di mezzi e di carattere prevalentemente procedurale. 

Tali procedure sono peraltro alquanto stringenti e sono destinate a cambiare in profondità le tradizionali prassi delle imprese europee.

La normativa prevede In generale che le procedure e i comportamenti da queste richiesti alle aziende e ai loro business partners sono diretti alla “prevenzione, l’attenuazione, l’arresto, la minimizzazione e la riparazione degli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, sui diritti umani e sull’ ambiente connessi alle attività delle società stesse, nonché alle attività delle loro filiazioni e dei loro partner commerciali nelle catene di attività cui le società partecipano” (considerando 16).

La definizione di partner commerciale e di catena di attività è contenuta nelle lettere f e g dell’art. 3 e la inclusione nell’ambito di operatività della direttiva è particolarmente importante perché estende di molto gli adempimenti delle società e la loro difficoltà implementativa, dato che coinvolge potenzialmente miriadi di piccole aziende anche distanti e non facilmente controllabili dalla società madre. Sul significato del riferimento a questi concetti e sulle sue implicazioni mi riservo di tornare in un prossimo intervento.

Qui vorrei dare qualche prima indicazione sui contenuti degli obblighi, con riguardo sia alla sostenibilità sociale che ambientale e sulle procedure previste dalla direttiva per la individuazione dei rischi e delle misure di prevenzione e mitigazione degli stessi.

 

I contenuti principali degli obblighi: rispetto dei diritti umani e sociali, divieti e obblighi in materia ambientale – Gli obiettivi della direttiva sono duplici: garantire il rispetto dei diritti sociali per tutti i lavoratori (ora si adotta la formula più ampia diritti umani) e il rispetto dell’ ambiente nei suoi vari aspetti.

Va precisato che i diritti e i beni la cui violazione le procedure sono volte a prevenire sono indicati in due allegati alla direttiva (art. 3, lett b e c del testo).

ll primo allegato (parte I, n.1 e n.2) riguardante la sostenibilità sociale, comprende i principali diritti e i relativi divieti presenti negli accordi internazionali sui diritti umani e nelle convenzioni, in particolare dell’OIL, sui diritti e le libertà fondamentali. Si tratta di una base comune di diritti da tempo riconosciuti, che le normative degli Stati europei, compresa l’ Italia hanno recepito e in varia misura integrato.

Qui le specificazioni necessarie sono almeno due.

La prima riguarda il contributo che le nuove procedure di Due diligence potranno dare alla effettiva osservanza di tali diritti da parte sia degli Stati membri sia delle imprese e delle loro catene di fornitura. Sappiamo che il tasso di effettività delle normative di tutela non è sempre garantito, specie per certi settori e tipi di lavori non standard, e per alcuni aspetti trasversali come il divieto di disparità di trattamento in materia di occupazione (allegato, parte I, n.14), anche nei paesi come i nostri che tali norme hanno formalmente acquisito da tempo.

La scommessa della direttiva è che gli obblighi di due diligence ,così precisati e resi più stringenti, possano contribuire a migliorare questa effettività, specie per gli aspetti e per i settori più a rischio. Per vincere la scommessa è richiesto il contributo di tutti gli stakeholder, in primis ma non solo i sindacati dei lavoratori, che la direttiva richiede di coinvolgere direttamente nelle procedure di valutazione e mitigazione dei rischi (art.7).

Il secondo allegato definisce i divieti e gli obblighi inclusi negli strumenti e nelle convenzioni internazionali in materia ambientale. Si tratta di una lunga lista di strumenti previsti da fonti normative diverse, alcune risalenti nel tempo, molte delle quali definite in modo generale e quindi bisognoso di interpretazione desumibile anche dalle prassi applicative e dalle decisioni delle Corti internazionali competenti.

Il considerando 32 precisa che tali divieti e obblighi devono essere interpretati in linea con il diritto internazionale e con i principi generali del diritto ambientale fissati all’ art. 191 TFUE, da cui il considerando fa derivare un elenco specificativo di divieti. Inoltre lo stesso ricorda che alla Commissione europea dovrebbe essere conferito il potere di adottare atti delegati per modificare l’allegato, anche aggiungendo il riferimento alla convenzione OIL sulla salute e sicurezza del lavoro (così l’articolo 3, n. 2 della Direttiva).

Qui il test cui sarà sottoposta la applicazione della direttiva è particolarmente difficile, non solo per la ampiezza dei contenuti richiamati nell’allegato, ma perché gli obiettivi e gli obblighi in materia ambientale sono quelli che mettono più direttamente alla prova gli istituti tradizionali del diritto e delle politiche del lavoro e gli stessi orientamenti delle parti sociali (su questo vedi più ampiamente B. Caruso, R. Del Punta, T. Treu, Manifesto. Il diritto del lavoro nella giusta transizione, 2023, p. 15 ss.).

Gli obiettivi di sostenibilità ambientale mettono infatti in discussione tutto l’approccio storico di questi istituti, nati nel secolo dell’ industrialismo e che nel corso dello sviluppo industriale si sono occupati di tutelare i lavoratori nei luoghi di lavoro, senza considerare l’ impatto sull’ ambiente delle attività produttive e dell’ organizzazione del lavoro.

Anche l’attività delle rappresentanze sindacali si è indirizzata prevalentemente a negoziare le conseguenze della crescita e gli aspetti distributivi. Quando ha affrontato le questioni della qualità e degli obiettivi della crescita, lo ha fatto per migliorare le condizioni di lavoro non per difendere l’ambiente o per promuoverne la salvaguardia.

La prospettiva della sostenibilità ambientale con i relativi obblighi di due diligence richiederà dunque cambiamenti profondi sia nella governance e nella strategia delle imprese, sia nella regolazione e nella gestione dei rapporti di lavoro.

La introduzione di tali obblighi, anche se procedurali, comporterà una serie di adempimenti e di vincoli alle scelte delle imprese, che spiegano le forti resistenze incontrate nel corso dell‘ iter di approvazione della direttiva.

Le difficoltà di attuare tali adempimenti e relativi controlli è accresciuta nei confronti delle imprese delle catene di fornitura, che sono spesso composte di piccole aziende, talora operanti in paesi lontani e privi di regolazioni sulle attività aziendali.

Così pure non mancano le preoccupazioni per la sostenibilità economica di una simile normativa per le imprese europee, che operano in mercati globali altamente competitivi e non altrettanto regolamentati.

Una seconda specificazione riguarda la fase di recepimento della direttiva, che ora si apre anche per il nostro paese.

Si tratterà di vedere come gli obblighi procedurali di prevenzione e gestione dei rischi si rapporteranno alle diverse normative nazionali nelle materie sociali e ambientali.

Quanto alle prime mi limito a porre la questione se il riferimento alla sostenibilità sociale dovrà riguardare solo il rispetto delle tutele e dei diritti previsti per legge ovvero anche degli standard e delle clausole fissati nei contratti collettivi. Nel caso italiano mi sembra che dovrebbe aversi riguardo solo alle normative di legge, dato che gli accordi collettivi hanno natura privatistica ed efficacia limitata alle parti stipulanti; ma come è noto la situazione e diverso in altri Stati membri della Unione.

 

Il processo di Due diligence e il dialogo con gli stakeholders  – Venendo ai contenuti procedurali della direttiva, questi prevedono un processo attuativo della due diligence in sei fasi, definite dalle linee guida per la condotta della impresa responsabile.

Il considerando 20 così le elenca: 1) integrazione del dovere di diligenza nelle politiche e nei sistemi di gestione aziendale; 2) individuazione e valutazione degli impatti negativi sui diritti umani e degli impatti ambientali negativi; 3) prevenzione, arresto o minimizzazione degli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, sui diritti umani e sull’ ambiente; 4) monitoraggio e valutazione della efficacia delle misure; 5) comunicazione; 6) riparazione.

Una indicazione generale da rispettare nella due diligence è che i sistemi di gestione dei rischi richiesti devono essere elaborati previa consultazione con i dipendenti della società e dei loro rappresentanti. Nella consultazione si deve presentare l’approccio della società, anche a lungo termine, ed esporre le procedure per la integrazione del dovere di diligenza nelle politiche aziendali, comprese le misure per verificare il rispetto del codice di condotta, nonché per estenderne la applicazione ai partner commerciali.

Tale codice dovrebbe applicarsi a tutte le pertinenti funzioni aziendali, comprese le decisioni in materia di appalti, di personale e di acquisti (considerando 39).

Per rispettare questo aspetto della procedura è richiesto un “dialogo significativo con i portatori di interesse durante l’intero processo di attuazione del dovere di diligenza” (considerando 40).

L’art. 13 della direttiva precisa che per dialogare in maniera efficace con i portatori di interesse le società devono fornire loro informazioni pertinenti e complete, e che gli stessi interessati possono chiedere informazioni supplementari, in caso di rifiuto con diritto a ricevere una motivazione scritta.

Inoltre la consultazione dei portatori di interesse dovrà attuarsi in tutte le fasi della procedura: da quella di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione del rischi, alla fase di elaborazione dei piani di azione, di assunzione della eventuale decisione di sospendere o cessare rapporti di affari con i partner, di adozione delle misure adeguate per riparare gli impatti negativi delle attività aziendali, di elaborazione degli indicatori quantitativi e qualitativi per il monitoraggio.

Un punto critico della procedura di due diligence riguarda la individuazione e la valutazione degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente, siano effettivi o potenziali.

 

Individuazione dei rischi e misure di prevenzione, mitigazione – Al riguardo il considerando 41 fornisce alcune indicazioni di metodo, che dovrebbero essere integrate da apposite linee guida che si annunciano da parte della Commissione.

Si tratta di indicazioni importanti perché la individuazione e la valutazione dei rischi richieste dalla direttiva presenta caratteri diversi e più complessi di quelli utilizzati dai sistemi di valutazione dei rischi adottati in altri ambiti: da quelli richiesti per valutare i rischi di infortuni sul lavoro a quelli previsti dalla legge 231/2001.

Il considerando precisa anzitutto che tali valutazioni dovrebbero basarsi su informazioni quantitative e qualitative, compresi i pertinenti dati aggregati “che possono essere ragionevolmente ottenuti dalla società”.

Inoltre richiede che le società adottino misure adeguate per mappare le loro attività, comprese quelle delle loro filiazioni e dei partner della catena di attività cui partecipano, e che sulla base della mappatura venga effettuata una valutazione approfondita delle attività proprie e della catena di attività “nei settori in cui è stata individuata una maggiore probabilità che gli impatti negativi si verifichino e siano di maggiore gravità” art. 8, n. 2 della Direttiva).

A tal fine, continua il considerando 41, si “dovrebbe tenere conto sulla base di una valutazione globale dei possibili fattori di rischio pertinenti “compresi quelli dei partner, anche se non rientranti nell’ambito della Direttiva, i fattori di rischio geografici e legati al contesto … connessi ai prodotti e ai servizi e i fattori di rischio settoriali”.

Sulla base delle procedure di valutazione dei rischi così effettuate le società sono tenute ad adottare “misure adeguate per prevenire gli impatti negativi potenziali che siano stati o avrebbero dovuto essere individuati … e qualora la prevenzione non sia possibile o non lo sia immediatamente, per attenuarli sufficientemente” (art.10).

Si precisa inoltre che ove non sia possibile attuare tali misure contemporaneamente per tutti gli impatti negativi rilevati, “si attribuisca priorità agli impatti negativi individuati a norma dell’art. 8, cioè quelli con maggiore probabilità di avverarsi e di maggiore gravità “ (vedi anche il considerando 38).

L’art. 10 aggiunge una ulteriore serie di precisazioni; in particolare stabilisce che se la natura o la complessità delle misure di prevenzione lo esigono, la società è tenuta ad attuare senza ritardo un piano di azione in materia con scadenze ragionevoli e precise per l’ attuazione di misure adeguate e indicatori qualitativi e quantitativi per misurare i progressi.

A questo fine la stessa società è tenuta ad effettuare gli investimenti e gli adeguamenti dei processi e delle infrastrutture necessari e a apportare le modifiche necessarie al piano aziendale, alle strategie e alle attività della società.

Come si può vedere, nonostante i margini di flessibilità insite nell’ aggettivo “adeguate” che qualifica sempre le misure richieste, la direttiva pone alle aziende impegni di identificazione e di prevenzione dei rischi alquanto stringenti e di natura largamente innovativa rispetto alle prassi tradizionali.

 

Particolarità della valutazione dei rischi ambientali – Le esperienze relative ad altre procedure di identificazione e valutazione dei rischi come quelle ricordate in materia di infortuni sul lavoro e di procedure ex legge 231, sono solo in parte utili a motivo del particolare carattere dei rischi qui considerati, soprattutto di quelli ambientali. .

Il considerando 41 ricorda che qui si tratta di operare valutazioni necessariamente dinamiche, per tener conto dei cambiamenti intervenienti nei cicli delle attività aziendali. Per questo si richiedono aggiornamenti delle procedure al verificarsi di ogni cambiamento significativo delle attività, in ogni caso almeno ogni dodici mesi e ogniqualvolta vi siano fondati motivi di ritenere che possano sorgere nuovi rischi; e il considerando indica alcuni esempi di cambiamenti ritenuti significativi.

Nelle procedure ex art. 231 gli adeguamenti dei modelli organizzativi di prevenzione dei rischi sono legati a elementi ricorrenti ma precisi, cioè ai cambiamenti dei reati che tali modelli devono prevenire.

Inoltre i rischi ambientali sono legati a variazioni del contesto locale e globali, che non sono facilmente prevedibili, anzi sono spesso caratterizzati da radical uncertainty non accertabile con le usuali tecniche predittive statistiche, come purtroppo testimoniano tante recenti esperienze di eventi climatici eccezionali e straordinari.

Per questo sono poco o per niente utilizzabili i dati ricavati da esperienze precedenti, come invece è possibile nelle procedure di valutazione di altri rischi. Quindi le procedure in questione e i controlli successivi dovranno guardare non solo indietro, ossia a informazioni e a dati del passato, ma anche e soprattutto avanti, cioè facendo previsioni sul futuro e poi confrontando tali previsioni con ciò che accade in tempi successivi, a loro verifica o smentita. (vedi G. Gometz, Intelligenza artificiale, profilazione e nuove forme di discriminazione, in Teoria e storia del diritto privato, Rivista on Line, 2022, p. 34 ss.).

La identificazione e valutazione dei rischi ambientali devono essere dinamiche in senso diverso da quello usuale, cioè non solo reiterate nel tempo, ma continuamente rivedibili in base a verifiche successive frequenti.

 

Attività di monitoraggio; lotta ai cambiamenti climatici; obblighi di riparazione – Infatti la direttiva attribuisce molta importanza alle attività di monitoraggio (art.15), cioè alla necessità che la società “effettui periodicamente una valutazione delle attività e misure proprie e della catena di attività per valutare la attuazione e monitorare la adeguatezza e l’ efficacia degli interventi di individuazione, prevenzione, attenuazione, arresto e minimizzazione nella entità degli impatti negativi”.

Tale valutazione va fatta dopo ogni cambiamento significativo e in ogni caso almeno ogni 12 mesi, nonché ogniqualvolta vi siano fondati motivi che possano presentarsi nuovi rischi di manifestarsi di impatti negativi.

Una norma di particolare importanza, che per questo è collocata attività separatamente dalle altre cui pure è connessa ratione materiae è contenuta nell’ art. 22, intitolato “Lotta ai cambiamenti climatici”.

Si stabilisce che le imprese di maggiori dimensioni devono attuare un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici, onde garantire con il massimo impegno possibile che le strategie aziendali siano compatibili con la transizione verso una economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 gradi, in linea con gli obiettivi internazionalmente stabiliti.

A tale fine si fissano contenuti dettagliati circa contenuto del piano: obiettivi temporalmente definiti fino al 2050, azioni chiave per conseguire gli obiettivi, quantificazione degli investimenti necessari, ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo riguardo al piano.

Inoltre gli Stati provvedono a che il piano sia aggiornato ogni 12 mesi e che contenga i progressi realizzati dalla società.

Il considerando 73 sottolinea come questa norma assuma una importanza particolare per la transizione verso un’ economia sostenibile, pur tenendo conto che anche questo obbligo delle imprese non è di risultato ma di mezzi e che occorrerà tenere conto della complessità della materia e “della natura evolutiva della transizione climatica”.

Per questo alle imprese si richiede di stabilire obiettivi intermedi definiti in relazione ai cambiamenti climatici per il 2030 e in fasi quinquennali fino al 2050 sulla base di prove scientifiche conclusive.

Il carattere stringente della direttiva riceve conferma dalla norma (art. 10, n. 4 e 6) secondo cui ove sia impossibile prevenire o attenuare sufficientemente gli impatti negativi potenziali

con le misure adeguate previste, la società può chiedere garanzie contrattuali al partner commerciale al fine di assicurare il rispetto del piano di azione.

Come opzione ultima essa è tenuta ad astenersi dall’ allacciare un rapporto nuovo o prolungare l’ esistente con lo stesso partner, e se non è ragionevole attendersi che tali iniziative vadano a buon fine, deve decidere la cessazione del rapporto di affari per le attività in questione, se l’impatto negativo potenziale è grave.

Nel caso invece in cui la società individui impatti negativi effettivi sui diritti umani e sull’ ambiente deve adottare misure adeguate per arrestarli o se ciò risulti impossibile, deve minimizzarne l’entità e inoltre riesaminare periodicamente che hanno impedito la eliminazione degli impatti negativi e se sia possibile arrestarli con la messa in atto di misure adeguate (art. 11).

Nei casi in cui la società abbia causato o causato congiuntamente un impatto negativo effettivo gli stati membri provvedono a che questa fornisca una riparazione art. 12.

Il considerando 58 specifica che per riparazione si intende il ripristino di una situazione equivalente o il più vicino possibile a quella che sarebbe esistente se non si fosse verificato l’impatto negativo in modo, proporzionato all’ implicazione delle società nell’impatto.

Qualora la società non fornisca tale riparazione gli stati devono provvedere affinché l’ autorità di controllo competente da essi designata (art. 24), abbia il potere di ordinare alla società di fornire una riparazione adeguata e affinché la società debba dare alle persone e alle organizzazioni interessate la possibilità di presentare un reclamo individuale o collettivo, secondo procedure eque e accessibili (art. 14).

L’articolo 29 fissa alcune condizioni affinché la società Inadempiente agli obblighi di cui alla normativa sulla sostenibilità può essere ritenuta responsabile dei danni causati a persone fisiche e giuridiche.

Tempo per prepararsi alla piena operatività delle norme della direttiva

La direttiva stabilisce (art. 37) che gli Stati membri adottino le disposizioni di legge, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle sue disposizioni entro il 26 luglio 2026.

Inoltre, con l’intento di dare tempo alle imprese, specie alle più piccole, di prepararsi per gli adempimenti necessari, lo stesso articolo 37 rinvia il dovere di applicare le disposizioni della direttiva in modo graduato, dal 26 luglio 2027 al 26 luglio 2029, a seconda delle dimensioni e della natura delle imprese.

Questo periodo di due anni in cui la direttiva è in attesa di recepimento e l’ulteriore tempo per l’effettiva entrata in vigore degli obblighi attuativi, sono dunque stabiliti per permettere una preparazione adeguata da parte degli Stati e soprattutto delle parti sociali, all’adempimento dei complessi obblighi previsti dal legislatore europeo.

La normativa di recepimento dovrà interpretare fedelmente le indicazioni del testo, senza ulteriori appesantimenti, e sarà chiamata a specificare e integrare le non poche disposizioni aperte ivi contenute.

Sarà essenziale che la elaborazione di tale normativa si avvalga di una ampia partecipazione delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, anche con consultazioni pubbliche, come è ormai nella consuetudine europea e che il recepimento tenga conto delle migliori pratiche nel frattempo sperimentate dalle aziende più lungimiranti.

La sperimentazione è più che mai necessaria data la complessità della materia per testare e se necessario aggiustare con processi di mutual learning le procedure di valutazione dei rischi ambientali e le misure adeguate a prevenire e mitigare tali rischi. 

 

 

Fonte: Lavorosì – https://www.lavorosi.it/notizie/il-decreto-sulla-rendicontazione-di-sostenibilita-per-le-imprese/

 

 

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