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Previdenza complementare: è il momento di alcuni aggiustamenti?

Come viene osservato nella Relazione per l’anno 2023 della Covip, è cruciale considerare la sfida della inclusione previdenziale.

Il 37,6 per cento dei lavoratori dipendenti aderisce a forma pensionistiche e questo, come ancora sottolinea la Covip, nell’ambito di un accentuato dualismo: il sistema di previdenza complementare “…è caratterizzato da un fondamentale dualismo. Esso accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese, inseriti in imprese ragionevolmente più solide e in grado di dare continuità ai flussi di finanziamento. Donne, giovani, lavoratrici e lavoratori delle aree meridionali continuano a essere meno presenti nel sistema della previdenza complementare, anche perché più fragili nelle loro condizioni di  occupazione”.

Stante questa situazione, non meraviglia che, in vista della  legge di bilancio 2025, emergano indiscrezioni che attribuiscono a tale legge interventi volti ad incrementare la partecipazione dei lavoratori tramite specifiche misure.

Una misura a cui  si fa riferimento riguarda una riedizione del semestre di silenzio assenso previsto, a suo tempo, dal decreto legislativo n.252/2005.

Come si ricorderà, l’art.8, comma 7, di tale decreto  è stato fonte di un meccanismo alquanto complesso, che ha interessato contemporaneamente le adesioni e il trasferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi pensione. Meccanismo secondo il quale, nel caso in cui il lavoratore entro sei mesi  dalla sollecitazione non esprimeva  alcuna volontà, era considerato aderente alternativamente al:

  1. fondo pensione previsto dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, salvo fosse  intervenuto un diverso accordo aziendale;
  2.  fondo pensione al quale  abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda in caso di presenza di più fondi cui al  precedente n. 1) a cui il lavoratore fosse legittimato ad aderire.


Una volta individuato il fondo pensione destinato a raccogliere la partecipazione del lavoratore “silente”, sempre per previsione dell’art.8, comma 7, al medesimo fondo erano da trasferire per intero le quote maturande del trattamento di fine rapporto (TFR).

E’ opportuno riproporre un meccanismo del genere? Al riguardo, sono  emerse diverse sensibilità. Non mancano  ipotesi di adeguamento, anche sostanziale.

Il meccanismo  di cui al decreto legislativo lasciava la libertà di manifestare una volontà individuale contraria alla partecipazione. Qualcuno ha ipotizzato che, sulla base dell’esperienza di altri Paesi, si potrebbe rendere automatica la partecipazione, consentendo un eventuale recesso successivo in un predeterminato arco temporale.

Tutto il TFR maturando, come è stato nel decreto legislativo, o solo una percentuale?

Un altro punto di particolare importanza: quali specifici interventi porre in essere per accrescere la consapevolezza dei lavoratori circa l’utilità della previdenza complementare, in un sistema che in ultima istanza conserverebbe la  libertà di tenersi fuori?

L’incentivazione della partecipazione ai fondi pensione, ove abbia successo, incrementerebbe  la fuoriuscita delle quote di TFR dalle imprese estranee al trasferimento delle stesse al Fondo di tesoreria (imprese fino a 49 dipendenti).

Anche per evitare spinte contrarie alle opzioni a favore della partecipazione, è da considerare l’ipotesi di misure volte a compensare la perdita del TFR come fonte di finanziamento da parte delle predette imprese (che, a dire il vero, con l’innalzamento dell’inflazione applicano consistenti rivalutazioni del TFR accumulato)?

Come problemi da affrontare, non si considerano solo quelli riguardanti il livello di partecipazione al sistema complementare.

Non tralasciando  i riscatti e  le uscite dal sistema derivanti da rendita integrativa temporanea anticipata (RITA),  la Relazione Covip per il 2023 altresì sottolinea  come  “le nuove prestazioni pensionistiche hanno interessato 164.000 posizioni; per la gran parte si tratta di prestazioni in capitale, salite da 145.900 a 160.300. Il numero di posizioni trasformate in rendita continua invece a risultare modesto, pari a 3.800, anche in diminuzione rispetto alle 4.200 del 2022. Le rendite complessivamente in corso di erogazione alla fine del 2023 sono 108.000, quasi la totalità riferite ai fondi preesistenti”. 

Anche sul versante delle prestazioni dei fondi pensione sono emerse delle ipotesi di aggiustamento, in particolare pensando a come possa agevolarsi la propensione a favore di vere e proprie prestazioni pensionistiche (la stessa espressione prestazioni pensionistiche, a ben vedere, mal si concilia con l’espressione prestazioni in capitale).

Fra tali ipotesi, meritevole di particolare attenzione è quella prospettata dalla Covip che, avendo anche presente la preferenza a ricevere le somme accumulate in capitale e, sotto altro aspetto, la scarsa offerta di rendite vitalizie da parte delle imprese di assicurazione, ha così argomentato: ”In tale quadro, si reputa utile che le opzioni di pay-out siano più ampie, superando come unica forma di rendita erogabile quella vitalizia (pur nelle sue diverse declinazioni).

Potrebbero essere prese in considerazione, ad esempio, prestazioni previdenziali che eroghino le somme accumulate ripartendole su un periodo pluriennale, contribuendo almeno in parte a mitigare i rischi connessi alla durata della vita successivamente al pensionamento, diversamente dalla erogazione del capitale in unica soluzione.

A tal fine si potrebbe consentire agli iscritti di optare per il mantenimento del montante nel fondo con possibili prelievi parziali successivi, in cifra fissa o entro un importo massimo annuale, oppure per la conversione in una rendita (non già vitalizia ma) temporanea, di durata commisurata alla vita attesa residua, erogata direttamente dal fondo. In caso di premorienza, inoltre, il capitale non ancora prelevato rimarrebbe a beneficio degli aventi diritto e ciò aumenterebbe l’interesse alla partecipazione. 

Ciò consentirebbe anche di continuare a beneficiare dell’investimento delle risorse non prelevate, che continuerebbero a essere gestite dal fondo pensione stesso secondo le regole, anche fiscali, proprie della previdenza complementare.  I prelievi periodici, peraltro, costituiscono un’opzione analoga a quella che già oggi potrebbero offrire i PEPP, i piani pensionistici individuali paneuropei, già istituibili anche in Italia (anche se non ancora presenti) e che, una volta diffusi, avrebbero per questo aspetto una probabile maggiore forza competitiva.

La rendita temporanea, invece, replicherebbe nelle modalità, a partire dal pensionamento, la prestazione periodica che i fondi pensione già sono abilitati ad offrire nel caso in cui la cessazione dell’attività lavorativa intervenga prima del compimento dell’età pensionabile, limitatamente a tale periodo”.  



Fonte: Lavorosì – https://www.lavorosi.it/previdenza-e-assistenza-integrativa/forme-pensionistiche-complementari/previdenza-complementare-e-il-momento-di-alcuni-aggiustamenti/

 

 

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