Sicurezza del lavoro: il DL PNRR non basta, serve ulteriore impegno

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La tragica sequenza di infortuni mortali sul lavoro verificatisi nelle ultime settimane, fino a quello di Saviana, ha stimolato la presentazione da parte del Governo di un gruppo di norme inserite nel cd decreto PNRR ora all’esame del parlamento.

Da parte delle opposizioni sono arrivate proposte modificative che dovrebbero essere considerate con lo spirito collaborativo richiesto dalla importanza del tema sicurezza e dalla gravità della situazione.

I dati relativi al numero degli infortuni, riportati da varie fonti, non sono affatto positivi: quelli generali sono da tempo stazionari e quelli mortali sono sopra le medie europee.

In ogni caso, siamo molto lontani dai livelli di sicurezza raggiunti dai Paesi del nord Europa più attenti a questo tema.

Anche in Italia non mancano le aziende che perseguono con successo l’obiettivo di ridurre a zero (almeno) gli infortuni gravi.

La normativa ora in discussione al Parlamento contiene alcune innovazioni positive, che mi auguro possano essere integrate e perfezionate con un vasto consenso.

Sarebbe un segnale significativo non solo in sé, ma anche perché potrebbe essere di stimolo a una revisione generale del TU 81/2008.

Da tempo si osserva da esperti e studiosi che la revisione è necessaria per adeguare il testo alle grandi trasformazioni del lavoro e delle imprese intervenute in questi anni; in ogni caso, andrebbe completata la serie di decreti attuativi dello stesso TU. 

APPALTI E SUBAPPALTI, NORME DI PARI TRATTAMENTO: 

Ci limitiamo a qualche osservazione su alcune questioni critiche del testo ora all’esame parlamentare.

Una prima criticità, confermata dall’esperienza, riguarda il sistema degli appalti e dei subappalti.

L’urgenza più evidente è di garantire pari livelli di tutela a tutti i dipendenti coinvolti nel sistema, da una parte, prevedendo che ai lavoratori impiegati dagli appaltatori ed eventuali subappaltatori si applichi un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali e decentrati in vigore ove – settore e zona – si svolgono le prestazioni che siano stipulati dalle associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e, dall’altra, precisando che l’ambito del contratto sia strettamente connesso ,anche in maniera prevalente, con l’oggetto dell’appalto.

Queste precisazioni, che sono in discussione anche in Parlamento, riprendono le regole storiche sulla rappresentatività degli agenti contrattuali e, per quanto riguarda le garanzie normative e gli ambiti oggettivi dei contratti, estendono le disposizioni già previste per i contratti pubblici.

I criteri di rappresentatività sindacale andrebbero precisati con una normativa che li sottraesse alla incertezza delle interpretazioni anche giurisprudenziali della formula in uso; ma non certo sostituiti dal riferimento apparso in qualche normativa recente – e anche nella versione iniziale del decreto PNRR – ai “contratti maggiormente applicati”. Tale riferimento, che valorizza il mero dato quantitativo della applicazione contrattuale a prescindere dai contenuti del testo e dalla rappresentatività delle parti, può avere un effetto negativo sulla qualità dei contratti e sulla loro efficacia nella regolazione dei rapporti di lavoro e nella sicurezza del lavoro.

Una seconda criticità riguarda la regolazione della catena degli appalti e i relativi controlli. Non basta affermare le norme di pari trattamento sopra indicate; bisogna garantirne la effettività in concreto, da parte dell’appaltatore oltre che delle pubbliche istituzioni.

Fornire questa garanzia diventa sempre più difficile via via che si scende nella catena dei soggetti coinvolti, dal primo appaltatore ai possibili diversi subappaltatori.

Una simile considerazione è suggerita dalla esperienza, ma può essere comprovata dall’Inail valutando sulla base delle informazioni della sua ricca banca dati la variazione del tasso di infortuni a seconda del tipo e di livello degli appalti/ subappalti.

In ogni caso, ci risulta che non poche delle aziende virtuose menzionate sopra decidono di non scendere nei loro affidamenti oltre il primo livello di subappaltatori, proprio per garantire la effettività dei loro controlli e, quindi, anche l’esenzione di responsabilità.  

LA PATENTE A PUNTI: 

La cd patente a punti è uno strumento sulla cui utilità sembra esserci vasto consenso, salvo aspetti specifici riguardanti ad esempio la quantificazione dei punti in relazione alla gravità degli infortuni.

Data la delicatezza della materia e la gravità delle conseguenze delle violazioni della normativa sulla patente, è necessario precisare bene le procedure, le modalità e i termini dell’eventuale provvedimento di azzeramento dei crediti e della conseguente sospensione dell’attività dell’impresa e del lavoro autonomo.

Una simile precisazione è tanto più necessaria a fronte della pluralità degli enti preposti alla vigilanza sulla sicurezza.

Solo la sperimentazione in concreto darà prova della funzionalità patente a punti.

Se la conferma sarà positiva non c’è motivo per non estendere l’istituto oltre il settore edile, come si richiede da varie parti. 

UN RIORDINO COMPLESSIVO DEL SISTEMA:

Servirebbe, inoltre, un riordino complessivo del sistema, che coinvolga anche le competenze delle Regioni data la competenza delle ASL in materia di prevenzione nei luoghi di lavoro. 

Si è peraltro osservato che nel frattempo basterebbe attuare un effettivo coordinamento fra i vari enti ora competenti in materia, come previsto dal TU 81 e ribadito a suo tempo dal Governo Draghi.

Il coordinamento dovrebbe riguardare non solo tutte le attività di prevenzione e vigilanza, ma anche le varie banche dati che si occupano di lavoro e di fisco per poter disporre controlli incrociati sulle aziende, come previsto con il portale nazionale sul sommerso richiesto dal PNRR e affidato all’ INL , ma non ancora operativo.

Un coordinamento effettivo permette anche maggiore efficacia agli interventi degli Ispettori, che sono in numero gravemente inadeguato.

L’intenzione del Governo di aumentare tale numero è positiva, ma ancora non sufficiente a fronteggiare compiti di controllo sempre più complessi e riguardanti la grande platea delle nostre aziende; per raggiungere le dimensioni medie europee, occorrerebbe più che raddoppiare gli organici, in particolare degli ispettori con competenze tecniche e attivi sul campo. 

FORMAZIONE: 

La qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, prevista tramite il sistema della patente a punto, è un punto decisivo per il funzionamento del sistema. Per questo richiederebbe di essere oggetto di una riconsiderazione più ampia, per corrispondere alle attuali trasformazioni dei modelli produttivi e alla esigenza di valutare la capacità delle imprese di garantire standard adeguati di sicurezza e a monte la presenza negli appaltatori di adeguate competenze tecniche e gestionali.

Una simile garanzia è tanto più importante a fronte del proliferare di imprese conseguenti a recenti provvedimenti quali in primis il bonus edilizio.

Per organizzare un efficace sistema di qualificazione, servirebbe prevedere una agenzia pubblica o una authority, autonoma e dotata di autorevolezza e di poteri adeguati per svolgere compiti di certificazione e di verifica sulla qualità delle imprese e dei lavoratori autonomi, specificamente in ordine alla sicurezza del lavoro.

Alcuni compiti importanti da affidare alla agenzia riguardano questioni considerate dalla normativa in questione, ad esempio la verifica delle condizioni per il reintegro dei crediti della patente, gli investimenti rilevanti allo stesso fine e utili a migliorare la sicurezza, la formazione ai dipendenti e la sua efficacia.

Tali compiti potrebbero estendersi, come previsto per altre agenzie, a ulteriori attività decisive per la effettività del sistema, come le valutazioni di impatto delle varie normative e delle stesse proposte di riforma, oltre che dei programmi formativi, che ora spesso lasciano alquanto a desiderare.

Provvedere ad una formazione sulla sicurezza adeguata per qualità e quantità è essenziale per aumentare non solo le competenze tecniche degli operatori, lavoratori e imprenditori, ma anzitutto la consapevolezza della importanza del fattore umano e del suo ruolo per garantire un contesto sicuro nei luoghi di lavoro e sempre più nell’ambiente circostante.

I contenuti e la quantità di tale formazione andrebbero raccordati ai caratteri della organizzazione produttiva in cui operano le persone ma anche alle condizioni specifiche dei lavoratori, di salute e di età.

Le migliori pratiche aziendali indicano la necessità di iniziative formative, come di forme organizzative del lavoro, specifiche per i lavoratori anziani, ora sempre più presenti nelle nostre aziende; e così pure prevedono programmi formativi dedicati ai giovani per prepararli al primo contatto con il lavoro.

In realtà, la necessità di curare in modo specifico la fase di entrata al lavoro si pone per tutti non solo per i giovani, perché questa fase presenta in media più alti gradi di rischio per i lavoratori.

Se questo è vero come sembra, durante questo periodo iniziale andrebbe previsto il dovere di dedicare attività formative specifiche ulteriori a quelle ordinariamente richieste. 

LA TRANSIZIONE ECOLOGICA E DIGITALE: 

Un tema generale, di rilevanza sempre maggiore ma ancora poco considerato, riguarda le implicazioni delle trasformazioni dei modelli produttivi e di sviluppo indotti dalle due transizioni: ecologica e digitale.

Le nuove tecnologie, specie digitali, hanno, come spesso accade per le tecnologie, effetti potenzialmente ambivalenti: possono creare nuove condizioni di rischio per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ma possono anche essere utilizzate per prevenire e fronteggiare meglio i rischi vecchi e nuovi sul lavoro.

A comprovare tale ambivalenza , per trarne conseguenze operative, esistono già varie indicazioni di ricerca, fra cui quelle di una indagine avviata dalla Università Cattolica in collaborazione con l’Inail.

Facciamo solo un esempio di impiego delle tecnologie digitali e della intelligenza artificiale al fine di prevenzione dei rischi sul lavoro.

Alcune aziende esaminate dalla ricerca stanno sperimentando la messa in opera di sistemi di sorveglianza intelligenti, in particolare sulle attività di cantiere, che permettono di rilevare in tempo reale comportamenti anomali di singoli e di gruppo, ma anche condizioni pericolose del contesto fisico e ambientale, al fine di attivare meccanismi di allerta e di pronto intervento.

Le stesse tecnologie assistite dall’intelligenza artificiale possono permettere diagnosi e valutazioni del funzionamento degli impianti, per accertarne la sicurezza, con una continuità e tempestività senza paragone con i sistemi di diagnosi e di intervento tradizionali.

Al riguardo, vanno menzionate ancora due implicazioni per il nostro tema delle attuali trasformazioni economiche e sociali.

Queste trasformazioni stanno inducendo modifiche profonde sia dei caratteri che della stessa natura dei rischi per le persone che lavorano.

Ai tradizionali rischi materiali e fisici si accompagnano sempre più, specie nei settori dei servizi, rischi di carattere psicologico e psicosociale, che incidono in modo inedito sulla qualità della vita e sulla salute delle persone: dalla depressione allo stress da lavoro e al technostress, dai disturbi neurologici alle malattie croniche, alle forme più o meno gravi di fragilità e di inabilità fino alla non autosufficienza.

Per altro verso, la crescente interdipendenza fra fattori e situazioni riscontrabile in molti ambiti della economia e della società attuali investe anche il rapporto fra salute/ sicurezza su lavoro e salute/ sicurezza dell’ambiente.

Ne deriva che le persone sono esposte a rischi plurimi spesso fra loro connessi, nel lavoro e nell’ ambiente circostante, rischi che risentono delle diverse condizioni di contesto oltre che delle condizioni personali e della loro variazione nel corso della vita.

Lo stretto legame fra sicurezza del lavoro e sicurezza dell’ambiente è riconosciuto da vari documenti internazionali, che segnalano la necessità di perseguire una concezione unitaria della salute delle persone e del pianeta.

Nella medesima prospettiva, si muovono quelle iniziative delle imprese che si pongono l’obiettivo di perseguire una cura delle condizioni del lavoratore rivolta alla total workers health e realizzata finalizzando al benessere complessivo del lavoratore e della sua famiglia le diverse politiche aziendali del lavoro e del welfare.

Una simile prospettiva è indicata in generale anche da recenti orientamenti europei, ad esempio in tema di due diligence aziendale, che attribuiscono alle imprese responsabilità dirette nel perseguimento di obiettivi di interesse generale quali la promozione della sostenibilità sociale e ambientale.

Non possiamo approfondire qui questi orientamenti delle politiche pubbliche e aziendali, ma la loro rilevanza è destinata a crescere e conferma la necessità di rivedere in questa nuova ottica molte nostre impostazioni delle regole del lavoro, fra cui anche la normativa sulla sicurezza acquisita con il Tu del 2008.


Fonte: Lavorosì – https://www.lavorosi.it/rapporti-di-lavoro/dovere-di-sicurezza-e-norme-prevenzionistiche/sicurezza-del-lavoro-il-dl-pnrr-non-basta-servono-ulteriore-impegno/

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